Musicista eclettico, in cui rintracciamo atmosfere neofolk, fortemente blues, definito anche “dark country”. Ma, soprattutto, orgogliosamente italiano, voce e suono di una terra tormentata. Ci racconta di sé, dei suoi molteplici progetti e del suo ultimo album, “Southern Dust Tales“.
Musicista, Torino, classe 1974. Questo è l’inizio della tua interessante e ricchissima biografia. Ma ciò che mi piace usare come gancio per questa intervista è la fine, dove viene citato il tuo ultimo lavoro, “Southern Dust Tales, un disco venato di blues con vigorose implicazioni psichedeliche e dark country”, e ti sono grata per questa definizione che da sola probabilmente non avrei saputo trovare. Con tutti i generi che hai attraversato, quale definizione ti senti calzare meglio addosso?
Mi piace pensare a me stesso come a un esploratore musicale. Ho avuto la fortuna di suonare vari generi nel corso della mia carriera, dalla black music alla psichedelica passando per la musica medievale e fino all’afro-beat. Ogni genere ha contribuito a formare la mia identità musicale, ma se proprio dovessi scegliere una definizione, credo che “alchimista” potrebbe essere quella che mi calza meglio.
Fra gli artisti con cui hai avuto occasione di condividere il palco ci sono nomi di prim’ordine: Marlene Kuntz, Skiantos, Patti Smith… C’è qualcuno di cui hai approfondito piacevolmente la conoscenza o di cui hai qualche ricordo particolarmente significativo?
Ho tanti ricordi belli, ma uno in particolare è legato a Patti Smith.
Suonare come band di supporto per lei è stato un onore incredibile. La sua energia sul palco è contagiosa, la puoi quasi percepire materialmente e il modo in cui si connette con il pubblico è straordinario.
Abbiamo avuto modo di chiacchierare dietro le quinte, appena dopo il concerto. Patti è una persona di una profondità e gentilezza rare; pensa che aiutava la sua crew a togliere la roba dal palco. È stato un incontro che ha lasciato un segno indelebile nel mio percorso artistico.
Dalla musica al cinema il passo è breve… oppure no? Qual è la tua visione e quali sono state le tue esperienze più memorabili?
La transizione dalla musica al cinema è stata naturale per me. La musica e il cinema sono due forme d’arte che raccontano storie e creano emozioni; lavorare in entrambi i campi è sempre molto stimolante.
Ho amato l’horror fin da bambino, essendo cresciuto con serie come Twin Peaks, i film di Stanley Kubrick e di Alfred Hitchcock, di cui mio padre era un grande appassionato. In queste produzioni la musica non fa da contorno ma ha un ruolo di pari importanza a quella delle immagini.
Tra le esperienze più memorabili c’è sicuramente la collaborazione con Francesco Castellani per il film “Black Star – Nati sotto una stella nera“, dove le mie musiche hanno affiancato quelle di Ennio Morricone. Anche realizzare la colonna sonora per il cortometraggio “L’Unguento”, tratto da una mia sceneggiatura, è stato particolarmente gratificante, soprattutto considerando il riconoscimento ricevuto.
“Italian Southern Gothic” è un insieme di parole ben assortite che risulta decisamente stuzzicante per il pubblico di Dark Pages: raccontaci di questa iniziativa.
ITALIAN SOUTHERN GOTHIC è un progetto ideato con il regista Marco Ursillo che mira a esplorare e valorizzare le influenze culturali e musicali del Sud Italia, intrecciando elementi di mistero, tradizione e storia. Il punto di partenza sono stati i lavori di Ernesto De Martino, le indagini etnomusicali di Alan Lomax e Diego Carpitella, con l’intento di esplorare un Mezzogiorno d’Italia misterioso e oscuro, dove i culti millenari e le visioni ossessive assumono sfumature fortemente occulte, esoteriche e perfino diaboliche.
Da questo progetto sono nate una serie di produzioni musicali, come Janara Circulum, Fluktus, Shanara, che vede fra i suoi partecipanti anche Karin Crisis, nel quale abbiamo voluto catturare l’essenza del folklore e delle leggende del Sud, miscelandole ai suoni più moderni creando una musica che evocasse le atmosfere magiche e inquietanti di questi racconti. Anche la serie di cinque cortometraggi diretti da Marco Ursillo, tra cui “L’Unguento”, è figlia di questo movimento culturale.
“We belong to death” è una traccia, tratta dal tuo ultimo album, che ho amato dalla prima all’ultima nota, fin da subito, seppur sia molto diversa dai miei ascolti usuali. Quali sono gli ingredienti “speciali” che catturano il tuo pubblico, che immagino essere assolutamente eterogeneo?
Grazie mille per le tue parole! Credo che gli ingredienti “speciali” siano sempre stati la sincerità e l’emozione che cerco di trasmettere attraverso la mia musica, cercando di raccontare sempre una storia.
“Southern Dust Tales” è una fusione sonora che mescola strumenti tradizionali come mandolino, tamburello, banjo, fisarmonica e castagnette, con il suono elettrico di chitarre slide, fuzz e resonator.
Ogni traccia è un racconto, un frammento della mia vita o delle mie esperienze. In particolare “We belong to death” riflette una consapevolezza esistenziale, una riflessione sulla morte che penso possa essere colta facilmente da chi ascolta, indipendentemente dal gusto musicale.
Il tuo blues è in questo disco estremamente “dark”: cantato in inglese, atmosfere calde ma malinconiche, chitarre evocative… è il linguaggio che si adatta al tema o è il tema che plasma il linguaggio?
Direi che è un po’ entrambe le cose. “Southern Dust Tales” esplora le parti più oscure dell’esperienza umana, pertanto, il linguaggio musicale si è naturalmente adattato per riflettere queste tematiche. Allo stesso tempo, il Blues, che di suo ha sempre avuto una componente malinconica e profonda, si presta perfettamente a questo tipo di narrazione. Le mie composizioni nascono in maniera istantanea: guardo un’immagine, sento un suono o vivo una situazione e di colpo ho tutto nella testa.
Tre dischi, libri o film che porteresti su un’isola deserta
Dischi: Rock Bottom di Robert Wyatt, Electric Mud di Muddy Waters, Pink Moon di Nick Drake
Libri: Chiedi alla polvere di John Fante, La pietra lunare di Tommaso Landolfi, La Divina Commedia
Film: Psyco di Hitchcock – Arancia Meccanica di Kubrick – Totò Diabolicus di Steno
Una frase da incidere all’ingresso di ogni live-club, rivolta agli spettatori.
Sei il benvenuto ma non rompere le palle agli altri.
Prossimi progetti e live?
Sto già lavorando al prossimo disco e terminando la scrittura di una nuova sceneggiatura per un film le cui riprese inizieranno a settembre. Scegliamo con cura i locali e i festival in cui esibirci, abbiamo solo bisogno di un pubblico che viene per ascoltare la musica.
[E noi siamo già in lista. Un abbraccio ad Alfred K Parolino con la promessa di vederci e … ascoltarci presto!]