#darkfriends – Ermete Lo Stige

ermete lo stige djDj, producer e composer fra i più potenti ed eclettici della scena dark e del clubbing italiani. Ci siamo incontrati la prima volta a Montecatini. Un dj set incendiario, il suo, che mi ha subito proiettata in una dimensione molto, molto diversa da quelle a cui ero abituata.

Come sempre le presentazioni: Lo Stige, perché sei tu “Lo Stige”?! Più Inferno o più Fiume?

Ciao! Intanto esordisco nel presentarmi e col dire che nella realtà mi chiamo Ermete che non è dunque un nome d’arte.

Lo Stige, invece, è un soprannome che mi fu attribuito scherzosamente (tempo addietro) a causa dei miei modi di fare non troppo diplomatici e/o pacifici. Un caro vecchio amico, durante uno dei classici ma oramai passati sketch che mi vide protagonista, esclamò: “Ma sei pazzo!?! Da piccolo non ti hanno battezzato con l’acqua santa, ti hanno messo con la testa nello Stige!”.

E così fu che rimase: ora sapete tutti che non c’entra niente la stregoneria, né la chiesa luciferina, né l’inferno, gli incantesimi, i super poteri occulti o altro, è frutto, invece, di un difetto caratteriale.

Dj sì, ok, ma in un ambito stilistico molto particolare, che non voglio definire “ristretto” perché non lo è proprio. Cosa ti ha fatto avvicinare al mondo dark e cosa ti ci ha fatto restare?

Ho iniziato a suonare a circa 14 anni imparando la batteria a spese della mia mamma, sì, perché facevo lezioni autodidattiche con pentole, piatti (nel vero senso della parola) e cucchiarelle di legno, battendo il piede a terra (per la gioia dei vicini del piano di sotto) immaginando ci fossero pedale e grancassa.

In seguito, sempre la mia mamma, per evitare che le sciupassi i suoi componenti per la cucina, mi regalò una chitarra classica: non imparai mai ad andare oltre i semplici “bicorde” e a suonare qualcosina a orecchio. Decisi, qualche anno dopo, di voler suonare anche il basso perché ero convinto che fosse più facile suonare quattro corde invece che sei e così feci.

Avevo una grandissima fotta per il punk, l’hardcore e l’Oi!

Per molti anni ho militato, vissuto la scena e suonato con più di una band, con qualcuna per maggior tempo, con qualcuna meno, con altre sono andato avanti per anni, ma in tutti i casi conservo bellissimi ricordi legati a quei periodi, agli amici, a quei momenti e al modo di vivere la strada e la scena alternativa.

Mi permetto di farvi qualche nome tra quelli a me più stretti: Blood ’77 (Formia), The Sickoids (Napoli), Razzapparte (Viterbo), Gioventù Bruciata (Formia), Discard of System (Roma), Rout (Frosinone), Traumatic (Livorno), Killer Penis (Montecatini Terme).

Collateralmente, sempre in adolescenza, avevo scoperto per puro caso anche gli stili gothic rock, post punk e new wave, di cui mi innamorai. Spesso alternavo serate punk hardcore a quelle più dark, che inizialmente frequentavo solo da spettatore, iniziando così a conoscere anche questo nuovo tipo di ambiente e sottocultura, sicuramente meno legato alla protesta, alla rabbia punk e alla vita di strada. Ne rimasi comunque affascinato.

Forse, oggi come oggi, un ambiente ristretto non lo è di sicuro, ma personalmente e senza offesa per nessuno, non lo vedo sempre così “inclusivo” e aperto alle “novità”. Non per farne una mia lamentela, sia chiaro, si tratta solo di una mia impressione oggettiva.

Sì, in realtà resto legato all’ambiente e alla scelta di sonorità “wave” anche se non nascondo che mi sto appassionando moltissimo, sempre di più, al mondo della musica elettronica del clubbing, cercando spesso di far combaciare in qualche modo gli stili musicali.

Dj set dieci anni fa e oggi: cos’è cambiato? Pubblico, locali, clima, attrezzature… o è il mondo a essere cambiato?

Iniziai a fare DJ Set dopo il 2010 un po’ per gioco. Soprattutto i primi tempi non presi la cosa troppo seriamente. Da musicista, abituato a stare su un palco in compagnia di una band e a tenere tra le mani uno strumento musicale, questa cosa della console mi metteva un certo imbarazzo…

Diciamo che non riuscivo a sentirmi me stesso maneggiando i CDJs. Comunque iniziai questo percorso acquistando una coppia di 100s della Pioneer e mettendo musica soprattutto in feste private e situazioni in un certo senso “da ascolto”.

Non avevo la benché minima idea di cosa fosse il mixaggio, difatti mi limitavo a fare il selecter a gusto personale, del pubblico o della situazione, prediligendo spessissimo l’ondata new wave, synth e anni ’80, periodo musicale al quale sono tutt’ora molto legato. Molti dei miei set avevano questa chiave tematica.

Qualche anno dopo, grazie a una crew di amici toscani, di cui uno in particolare, che apprezzava le miei selezioni e i miei set, mi feci convincere a diventare loro collega e parte integrante del collettivo DJs.

Da qui in poi, di volta in volta, è cresciuto sempre di più l’amore per la console, il dancefloor e quel tipo di vibrazioni uniche che riuscivano a trasmettermi. Ancora oggi reputo che sia una bellissima forma di connessione con il pubblico, è come diventare una cosa sola con la pista. Una serie di sentimenti che forse l’essere musicista non era riuscito a darmi fino in fondo e, di lì a poco, abbandonai completamente gli strumenti acustici (basso e batteria per l’appunto).

Negli ultimi dieci anni indubbiamente sono cambiate molte cose che riguardano il pubblico, forse diventato leggermente più aperto alle novità e alla varietà di stili (di sicuro più ampia) e, secondo me, anche il mondo stesso. La tecnologia è sempre una spanna avanti, la strumentazione e le attrezzature diventano di anno in anno più all’avanguardia e, per finire, la parte social che è allo stesso tempo influente e impone un nuovo modo di approcciarsi alla musica, alle sottoculture e permette una più vasta visibilità degli eventi.

I locali non hanno subìto grossi cambiamenti se non durante e dopo il brutto periodo delle “mascherine” che credo sia difficile per tutti da dimenticare. Quello penso che sia stato un duro colpo per loro e di conseguenza anche per gli utenti. È tuttora evidente che molte abitudini del pubblico siano cambiate.

Lavorare e produrre “da soli” (seppure con selezionate collaborazioni): sogno oppure incubo?

Ho scelto di essere indipendente e non me ne pento, ma non per egoismo, assolutamente. Infatti amo le collaborazioni, le amicizie che nascono grazie alla musica, i contatti di persone care sparse in tutta Italia, all’estero e la condivisione: non hanno prezzo.

Allo stesso tempo è oggettivo che prendere decisioni, organizzarsi e produrre da soli è molto più pratico di suonare con altri elementi o esser parte di una band. Quindi direi né sogno né incubo. Ad esempio ho fatto moltissime collaborazioni sia come remixer che come producer e ognuna di esse mi ha lasciato felice e soddisfatto sia musicalmente che dal punto di vista umano. Approfitto dello spazio per fare un saluto a chi ha avuto stima e fiducia in me, dandomi la possibilità di crescere ed esser in qualche modo parte del loro mondo e della loro musica:

Scarlet Fever, God in a Black Suit, Hidden House, Valérie Hendrich, Diviso2, A Copy for Collapse, Nino Sable, Suzi Sabotage, This Eternal Decay.

(Il resto lo scoprirete nelle prossime puntate)

Grazie di cuore.

Diciamo la verità: hai suonato (e questo verbo nel tuo caso si può utilizzare senza remore) davvero ovunque. C’è un locale o una regione che ti sia rimasta nel cuore, per motivi geografici o umani?

Ho un difetto enorme, che ovunque abbia suonato tornerei a farlo altre 1000 volte. Non ricordo momenti spiacevoli, rimpianti o addirittura rancori, a parte qualche piccolo screzio, ma comunque cose risolvibili e che fanno parte della nostra natura umana. Mi adatto alle situazioni più variegate, amo suonare, viaggiare e creare ogni volta una profonda connessione con un pubblico diverso, è una sensazione che davvero spiegherei male con le parole. Anche qui ringrazio pubblicamente chi mi ha dato spazio, mi supporta, chi si ricorda sempre di me: pubblico, organizzatori, club, colleghi, locali, fonici. Ogni volta è come ritrovarsi in giro con una grande famiglia sparsa dappertutto, è bellissimo e non saprei stare senza tutto questo.

Il dj, visto il ruolo, può anche permettersi di non essere un vero creativo, ma di affidarsi unicamente a cultura personale, buon gusto e talento. Tu però sei anche un musicista. Parlaci un po’ delle tue produzioni personali!

Cultura personale, creatività e buon gusto sono di sicuro la base di una buona ricetta per qualsiasi sia la strada musicale che si voglia intraprendere, il talento se c’è vien da sé. Poi, dici bene “musicista” e non artista: se quello che produci è arte, a stabilirlo è sempre il pubblico, l’ascoltatore, i feedback. Personalmente non ho mai compreso l’auto-proclamarsi artista, ma è solo un mio modo di vedere le cose. Ho iniziato a comporre musica elettronica nel 2018, non da moltissimo tempo e sempre per gioco, forse per ritrovare appunto la strada e lo sfogo da musicista, proponendo uno stile visionario ma comunque legato al panorama wave e a sonorità minimali.

Copio / Incollo una giusta osservazione descrittiva della cara amica Elisabetta Laurini, legata ad una mia presentazione per un live a Roma a sostegno di Radio Elettrica che non fa una piega:

“La narrativa e l’evoluzione del percorso artistico da producer e composer di Ermete Lo Stige, hanno creato inizialmente mondi distopici e sperimentali, conferendogli, in seguito, un taglio più moderno e rivolto al dancefloor. Un viaggio tra cupe melodie atmosferiche ed ambient, ma con una tendenza ad andare verso un sound più techno e disco. Nel 2024, anno corrente, inizia infatti un nuovo percorso: in cantiere ha nuove produzioni che danno un taglio netto al passato e vanno ad abbracciare il clubbing in maniera decisa”.

In ambito musicale si possono conoscere persone di ogni tipo: brave, meno brave, interessanti o trascurabili. C’è qualcuno da conservare nell’album dei ricordi che ti abbia lasciato con una storia davvero indimenticabile?

Lo dico onestamente, senza arrampicarmi sugli specchi e senza parafrasi fricchettone (che dio me ne scampi!). Credo che ogni situazione ed ogni persona siano uniche e per ognuna c’è un posto speciale nei miei ricordi, da quando ho iniziato da ragazzetto come musicista nella scena punk ad ora in ambito clubbing. Tutto ciò che è trascurabile o meno interessante lo metto sicuramente da parte e va a svanire col passar del tempo, chi mi conosce e mi resta nel cuore se ne accorge e ci fa caso.

Tre dischi, libri o film che porteresti su un’isola deserta.

Domanda abbastanza pungente! Ascoltando molti generi ed essendo eclettico sarei seriamente in difficoltà, comunque ti segnalo in ogni caso dei nomi e titoli per me importanti e che amo.

  • Dischi:

Type o Negative – Bloody Kisses (1993)

Nerorgasmo – Nerorgasmo (LP omonimo, 1993)

Felix da Housecat – Kittenz and Thee Glitz (2001)

  • Film:

Pulp Fiction (1994, senza manco pensarci due volte)

The Lost Boys (1987)

Fantozzi contro tutti (1980).

Per quel che riguarda i libri non mi vergogno a dire che, purtroppo, il tempo da dedicare alla lettura è sempre poco, di conseguenza non sono un gran lettore.

Una frase da incidere all’ingresso di ogni club, rivolta agli spettatori.

 “Lasciate a casa le richieste al DJ e i telefoni cellulari, O voi che entrate”.  Non sarebbe niente male, vero?

Per concludere vi ringrazio tantissimo per avermi invitato a Dark Pages e per lo spazio che mi avete concesso, grazie Cristina & Giuliano, Dark Circle e, last but not least, grazie anche a tutti coloro che mi hanno dedicato del tempo leggendo questa intervista. Ci vediamo in giro e spero presto.

Vi abbraccio.

Ermete

[E dove poterti trovare, caro Ermete?]

Ma naturalmente qui!