Artista del “Gotico Postmoderno”, Giorgio Finamore ci racconta delle sue oscure visioni e delle sue esperienze artistiche, umane e intellettuali.
È all’Accademia di Belle Arti di Venezia che credo di averti incrociato la prima volta. Di quei luoghi ho dei ricordi molto romantici, ma di quei tempi non ho particolare nostalgia. Cosa ci puoi raccontare della tua esperienza (parliamo dei primissimi anni Duemila) in quello che considero uno degli ambienti più misteriosi che esistano?
Io la frequentai alla fine degli anni Novanta, e nei primi Duemila conseguii la laurea, in Scenografia, con una tesi sullo spazio scenico in “The Shining”, con il prof. Carlo Montanaro come relatore. Dopo quel periodo, la sede, per questioni politiche legate all’ampliamento delle Gallerie dell’Accademia, venne chiusa e trasferita alle Zattere (ex Ospedale degli incurabili), quindi posso dire di essere stato davvero molto fortunato ad aver potuto studiare nella sede storica dell’Accademia di Belle Arti, dove insegnarono i Maestri dell’Arte, da Tiepolo a Vedova, potendone forse respirare la magia.
Ho ricordi molto positivi, ed io, forse sì, che ho anche un pizzico di nostalgia; e come sempre l’elemento che fa la differenza sono stati gli incontri; ne ebbi di fantastici, da compagni di corso che ancora oggi frequento, a docenti appassionati e super competenti, con alcuni dei quali in seguito collaborai. Ricordo soprattutto Franz Falanga (scomparso da qualche anno), per il quale illustrai il suo poetico libro “Nella terra dell’U – Storie di giovani e del Jazz a Bari”.
Pittura, disegno, scultura, digitale: un artista può avere molti mezzi, ma un solo, chiaro e ricchissimo linguaggio. Nel tuo caso, recupero la definizione di Gotico Postmoderno. Qual è il mezzo che ti fa esprimere meglio, oggi come oggi, dopo averne sperimentati di così diversi?
Nonostante alterni diverse tecniche per sperimentare, e cercare di esplorare quel mondo alieno che risiede nel mio subconscio, mi piace sempre ritornare al primordiale amore per il bianco e nero, soprattutto utilizzando la tecnica della penna biro. Mi piace, perché l’approccio è molto “libero”. Sebbene adori i dettagli, e il chiaro scuro, che richiedono tempi lunghi di realizzazione, con questo modo di operare posso sfuggire a certi tecnicismi della pittura digitale, anche se poi a volte finisco ad ingabbiarmi nelle mie adorate strutture simmetriche… ma non sempre.
La musica sta alla colonna sonora come la pittura sta all’illustrazione: vero o falso? Come ti approcci a un lavoro come può essere, ad esempio, la creazione di una copertina?
Le copertine sono delle opere d’arte costruite su un delicato equilibrio grafico e che comportano, alla base, delle scelte specifiche, molto senso estetico, e una buona dose di rispetto e responsabilità; perché si tratta pur sempre di rappresentare con la tua arte, l’opera di qualcun altro.
Quindi, in primis, bisogna avere una conoscenza, il quanto più possibile ampia e completa, della musica o del contenuto del libro, del musicista o dello scrittore con cui si collabora. Il resto è un lavoro di mestiere e di stile, per me difficile da descrivere, perché può davvero cambiare di volta in volta.
Chiedo scusa in anticipo per l’ovvietà della domanda, non posso proprio evitare di chiederti del tuo rapporto con l’Intelligenza Artificiale. Però preferisco che restiamo amici: domanda libera, risposta libera!
Risposta libera, e anche secca: il concetto alla base dell’AI non mi affascina per niente! Vorrei chiuderla qui, ma andiamo con calma; l’intelligenza artificiale si sta diffondendo sempre più per quel che riguarda molti settori, ed io ovviamente circoscrivo il ragionamento all’AI generativa nel mio campo, quello dell’arte, dell’immagine, dell’illustrazione, perché per il resto non voglio addentrarmi in cose che non conosco. L’AI tramite chiavi di ricerca, imita stili, ambientazioni, assembla idee altrui pescate nella rete globale, e devo dire che in alcuni casi ammetto di aver visto anche delle composizioni interessanti, ma penso sia umanamente sconfortante che si debba ricorrere completamente alla macchina per realizzare un’opera artistica, appropriandosi quindi di universi creati da altri.
Ma attenzione, non sono contro la tecnologia: io stesso nel corso degli anni, ho iniziato a sperimentare e ad utilizzare la pittura digitale, traducendo quindi l’operato manuale in un’elaborazione digitale (con tutte le facilitazioni del caso), dal foglio di carta al monitor, ma mantenendo la cura e il controllo totale sull’opera. Ma l’AI non è la stessa cosa; il problema è la mancanza di originalità e il suo impiego spropositato che sta già portando diversi problemi a chi l’arte la produce con le proprie idee e manualità, soprattutto perché certe tecnologie oggi possono avere una diffusione tale da creare effetti incontrollabili, fino ad arrivare alla sostituzione dell’ingegno umano; inoltre viviamo nel magma del web, e quando non è dichiarata, crea una gran confusione mentale nei non addetti ai lavori, specie nei giovanissimi che cresceranno con l’idea in testa che “tanto quelle cose le fai in AI”. Come tutte le tecnologie, non metto in dubbio che possa essere utile, ma dovrebbe essere trattata come materia d’appoggio, ammaestrata e tenuta al guinzaglio.
Curiosando fra le tue esibizioni non può sfuggire il legame con la Romania e Dracula. Cosa ci puoi raccontare di quelle due esperienze, al di là dei cliché?
Ho esposto in Romania due volte. Ero stato contattato inizialmente per realizzare un’opera per il manifesto ufficiale di questo festival internazionale di cinema horror che si chiama Dracula Film Festival, nel 2022 alla sua Decima Edizione. Disegnai una mia personale visione di Vlad Tepes; era un soggetto che mi affascinava da tempo e l’avrei voluto realizzare già anni fa, quindi quella fu l’occasione ottimale per farlo davvero! E ti posso assicurare che fu emozionante vederlo appeso dappertutto in quelle zone, e sul grande schermo della sala cinematografica in cui si svolgeva il festival. Successivamente alla realizzazione del manifesto che era stato molto apprezzato, avendo approfondito il rapporto con queste persone davvero deliziose, sempre più curiose di collaborare con me, agli organizzatori venne anche l’idea di ospitare una mia personale che ebbe luogo in una galleria d’arte nel centro della città di Brasov (Transilvania). Fu un tributo davvero sentito alla mia Arte, che mi emozionò, ed ebbe successo; tanto che l’anno successivo venni invitato nuovamente, per un’altra esposizione ma in un’altra location, nella città di Timisoara. Ho trovato in questa esperienza persone davvero disponibili e molto cordiali, dotati di un raro senso di umiltà, con le quali (ma non voglio ripetermi) è stato piacevolissimo confrontarsi e collaborare.
Dark Pages racconta molto spesso di musica ed è un tema che non riesco a considerare slegato da tutte le altre forme espressive. Cosa preferisci ascoltare nei vari momenti della tua giornata e a seconda delle situazioni?
Adoro la musica, e pertanto ne ascolto tanta e di varia natura. Veramente! Espando i miei ascolti in tanti generi durante le mie giornate. Ovviamente escludendo quella robaccia commerciale che va di moda oggi, ma questo non c’è neanche bisogno di dirlo, perché qui siamo tra persone civili ed istruite. La lista di cose che mi piacciono sarebbe lunghissima.
Poi, diciamo però, che la maggior parte della giornata la passo a lavorare, quindi in quel caso, se ascolto musica, preferisco sempre quella strumentale, classica o elettronica che sia; intendo dire, in cui non vi è la voce umana e il cantato, che mi distraggono e mi riportano sul pianeta Terra; mentre con la sola espressività dei suoni (che siano sintetici, elettronici oppure orchestrali) riesco a raggiungere un livello di astrazione che mi permette di poter viaggiare meglio con la fantasia.
Tre opere d’arte, libri o film che porteresti su un’isola deserta.
Sulla proverbiale “isola deserta”, dove si spera sempre vi possa essere un lettore dvd per guardare un film, un impianto stereo per ascoltare un disco, e di non finire come in quel famoso episodio di “Twilight Zone” (Ai confini della realtà) in cui il protagonista aveva tutto il tempo di leggere ma gli si ruppero gli occhiali, porterei: un libro che non ho mai letto e che avrei sempre voluto leggere, e ce ne sono tanti, per esempio “Le tre stimmate di Palmer Eldritch” di Philip Dick; poi porterei un disco di Frank Zappa, e penso che il più indicato possa essere “Freak Out!”; e come film, anche qui avrei l’imbarazzo della scelta, dato che amo il Cinema, ma sceglierei sicuramente “Monty Python’s The Meaning of Life”… per ridere e riflettere sulla vita durante il mio soggiorno solitario e malinconico sull’isola deserta!
Ma ci si deve per forza andare su questa nefasta isola?
Una frase da incidere all’ingresso di ogni museo, rivolta agli spettatori.
“Prendete i vostri televisori, portateli alla finestra, assicuratevi che sotto non passi nessuno, e buttateli giù!”
Prossimi progetti, esposizioni o collaborazioni?
È da tempo che sto assemblando un mio libro che raccoglie circa trent’anni di lavori sul tema del Gotico Postmoderno, e che probabilmente darà il via ad una nuova serie di esposizioni e presentazioni, ma al momento è tutto un work in progress. Mentre il progetto di cui l’uscita è più imminente consiste in “I dossier di Maxtor. Vita e cronoviaggi di un cybercane nel Pluritempo”, un libro ideato e curato da DustyEye (edito da Moscabianca edizioni), per il quale ho realizzato gran parte delle illustrazioni; ma si tratta di un’opera corale, con il contributo di tanti altri colleghi illustratori. Poi sono sempre alle prese con le copertine illustrate per la casa editrice Weird Book, per saggistica cinematografica, antologie, narrativa; e con la casa discografica Caligola Records di Venezia, che si occupa prevalentemente di jazz, con cui collaboro in veste di graphic designer da quasi vent’anni.
[Grazie, grazie, grazie a Giorgio per i suoi racconti e le sue confidenze. Ci si rivede in giro!]